Se chiudo gli occhi
Di Lina Sari
Se chiudo gli occhi posso immaginare un disegno con cerchi che vanno allargandosi: al centro c’è la casa di Ponte di Piave, dove cerco il diapason dei sentimenti. Far stare tanti ricordi, frutto di emozioni, in un unico disegno è una scommessa poiché, nella mia anima, la topografia parisiana mi dà risposte con omissioni, tratteggi, piccoli trucchi e prospettive che cambiano, angoli nascosti e vedute che solo il disegno, per fortuna, permette di raccontare.
Goffredo Parise era per me l’incarnazione delle parole che Stendhal ha scritto: “…d’inventer des sensations inédites”, che descrivevano così chi insegnava, con calore ed esuberanza, sentimenti che in germe esistono in tutti noi, ma che non arrivano in pieno rigoglio per la bassa temperatura del nostro sangue. Ho conosciuto lo scrittore negli anni in cui era in continuo contatto con la morte, eppure in lui c’era fame di vita: provocava, esagerava, sfidava. La sua era una continua curiosità anche spirituale. Agli incontri mondani manteneva un sorriso riservato finché uno scatto rivelava l’insofferenza per l’oratoria da salotto.
Negli interni domestici dedicava ai famigliari le attenzioni più delicate. Ho goduto di Parise, Zanzotto e Ceronetti insieme.
Durante gli incontri alla libreria Becco Giallo, Parise non ha mai voluto offrire l’immagine di un intellettuale impegnato; dalla scrittura esigeva solo un’aderenza suprema alla verità umana e quindi una totale assenza di risarcimenti ideologici.
(Da: I LEMBI DEI RICORDI. Ri(n)tracciare il paesaggio di Goffredo Parise. Società letteraria di Verona, Antiga Edizioni)
35 anni fa moriva Goffredo Parise